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Intramoenia: luci e ombre

Ad oggi l’attività intramoenia sembra essere rimasta confinata in un “limbo”, risultando poco appetibile per i cittadini, per i professionisti e per le strutture.

La spesa sanitaria privata nel 2022 ha raggiunto i 40,1 mld di euro, registrando una crescita dello 0,6% medio annuo nell’ultimo quinquennio, dato peraltro influenzato dalla riduzione dei consumi dovuti alla pandemia.


L’incremento nell’ultimo anno è stato circa del 5%, abbastanza omogeneo in tutte le Regioni. La crescita della spesa privata sembra essere un dato confliggente con le aspirazioni universalistiche e “globali” dell’assistenza sanitaria prestata dal Servizio Sanitario Nazionale (Ssn) italiano.


A conferma di ciò, l’Oecd stima che l’Italia abbia una quota di finanziamento pubblico fra i più bassi d’Europa: il 75,5% contro una media che supera l’80% della spesa: per precisione, nei Paesi dell’Europa originaria (Paesi Eu-Ante 1995) il finanziamento pubblico raggiunge l’82,1%; ma anche in quelli entrati successivamente (Eu-post 1995) il valore è maggiore a quello italiano (76,9%).


In altri termini, l’Italia, pur essendo considerata un sistema sanitario pubblico di stampo universalistico ha una spesa privata maggiore delle aspettative.


Sembra, quindi, opportuno analizzare più approfonditamente la spesa privata, per capirne l’eziologia e le modalità di effettuazione.

Iniziando dall’impatto sul bilancio delle famiglie, e rimandando al 19° Rapporto Sanità del Crea Sanità per gli opportuni approfondimenti e, in particolare, per le analisi degli impatti equitativi, ricordiamo che l’89,6% della spesa privata rimane a totale carico delle famiglie (36,0 mld di euro); il restante 10,4% (4,2 mld di euro, in aumento di 0,5 punti percentuali (p.p.) rispetto all’anno precedente) è intermediata, ovvero beneficia di una copertura assicurativa, rimanendo a carico dei fondi sanitari (per il 76,5%, in crescita del +5% nell’ultimo anno) e/o di polizze assicurative individuali (23,5%, +33,4% nell’ultimo anno).


Due aspetti sembrano rilevanti: in primo luogo la peculiarità italiana di avere una quota di spesa privata non intermediata (cosiddetta out of pocket) in assoluto fra le più alte in Europa, a scapito della dimensione equitativa garantita dalla suddivisione del rischio; in secondo luogo, l’enorme differenza geografica delle coperture assicurative, che genera un ulteriore iniquità interna al sistema di tutela della salute. Infatti, la componente intermediata rappresenta il 17,1% della spesa privata delle famiglie residenti nel Nord-Ovest, il 10,6% per quelle del Nord-Est, il 10,1% per quelle del Centro e solo il 2,6% per quelle del Sud.


Sta quindi aumentando la domanda assicurativa, che può essere interpretata come indicazione di una crescente percezione nella popolazione di una insufficiente tutela da parte del Ssn.


Ma cresce fra i più abbienti (polizze individuali) e nelle categorie “organizzate” (Fondi sanitari collettivi), lasciando “scoperta” la popolazione del meridione. Peraltro, la necessità di avere prestazioni fuori dal Ssn è ampiamente diffusa: il 75,9% delle famiglie italiane sostiene spese per consumi sanitari, quota in aumento di 1,7 p.p.  nell’ultimo anno. La ripartizione del Mezzogiorno, con il 77,3%, è quella con la maggiore quota di famiglie che sostengono spese sanitarie, seguito dal Centro con il 77,2%, dal Nord-Est e dal Nord-Ovest con il 74,3%.


Il dato per ripartizione, in qualche modo sorprendente, porta ad annoverare fra i driver che spingono il consumo sanitario quello della percezione della insufficiente qualità dei servizi: notoriamente questo è un elemento critico del rapporto fra Ssn e popolazione meridionale.

L’insufficiente intermediazione, e quindi le conseguenti potenziali difficoltà di accesso, portano a rilevare che fra le famiglie più abbienti la quota di quelle che ricorrono a spese sanitarie private, supera l’80%, mentre tra quelle meno abbienti si ferma al 60%.


La spesa media per le famiglie che sostengono spese sanitarie risulta di 1.850,2 euro annui, in aumento del +6,4% rispetto all’anno precedente e del +2,5% rispetto al 2019. A riprova dell’esistenza di problemi di accesso, spendono di più le famiglie del Nord-Ovest (2.053,9 euro; +2,4% rispetto all’anno precedente) e meno quelle del Mezzogiorno (1.569,0 euro; +7,9%).


Una seconda modalità di analisi della spesa privata riguarda la destinazione delle risorse (il tipo di consumo) e la scelta della struttura in cui il consumo avviene.

I farmaci rappresentano l’onere maggiore, pari al 37,8% del totale della spesa sanitaria privata, (42,2% nel 2019); seguono le cure odontoiatriche con il 24,4% (21,4% nel 2019), le visite specialistiche, medicina generale, prestazioni diagnostiche e ricoveri il 23,7% (15,1% nel 2019), le attrezzature sanitarie con l’9,5% (9,7% nel 2019), l’acquisto di protesi e ausili, cresciuto del 4,6% rispetto all’anno precedente (3,3% nel 2019).


Di particolare interesse è la quota di spesa, complessivamente pari a circa il 25% (10 mld di euro) che si riferisce a prestazioni diagnostiche, di laboratorio e a ricoveri. Questa spesa può essere effettuata tanto in strutture private accreditate dal Ssn, che non accreditate, ma anche in strutture pubbliche in regime di libera professione intramuraria.


I dati su questo ultimo segmento ci dicono che il suo valore economico, nel 2022 è risultato pari a 794,0 mil di euro, con un ri-allineamento dei ricavi con i valori pre-pandemici. In via approssimata, quindi, il segmento assorbe il 7/8% dei consumi privati effettuati dalle famiglie per prestazioni specialistiche e/o di ricovero.


Di fatto, nell’ultimo decennio, il segmento, pur con modeste oscillazioni, e prescindendo dalla riduzione dovuta alla pandemia, è rimasto sostanzialmente stabile nel tempo. In particolare, il 60,5% del gettito è stato generato nelle Regioni del Nord (480,3 mln di euro), il 24,8% nelle Regioni del Centro (196,6 mln di euro) e il 14,7% dal Sud e Isole (117,1 mln di euro). La spesa pro-capite sostenuta dai cittadini per le prestazioni in intramoenia è risultata essere pari a 17,5 euro nelle Regioni del Nord, con un incremento del 7,0% rispetto alla media registrata nel periodo 2012 – 2019 (pre-pandemia). Nel Centro, i ricavi pro-capite sono risultati pari a 16,8 euro, con una riduzione dell’1,9% rispetto agli anni pre-pandemici. Infine, nel Sud e Isole, la spesa pro-capite si attesta a 5,9 euro, con un lieve incremento (0,7%) rispetto ai ricavi registrati ante 2019.


REDAZIONE AISI

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