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Sempre meno medici di famiglia in Italia: la riforma non può attendere

  • Immagine del redattore: AISI
    AISI
  • 5 mag
  • Tempo di lettura: 2 min

Negli ultimi cinque anni il numero dei medici di base è calato drasticamente: oltre 5.000 in meno, quasi il 15% del totale. Oggi se ne contano poco più di 37.000. Un’emorragia costante che sta creando un vuoto strutturale nel sistema dell’assistenza primaria. Se la tendenza non verrà invertita con misure concrete e tempestive, il rischio è quello di una vera e propria estinzione professionale.

Un carico sempre più pesante

Chi resta in attività si trova spesso a operare in condizioni di sovraccarico. I pazienti fanno fatica a trovare un medico disponibile, e chi è ancora in servizio deve spesso superare la soglia massima prevista di 1.500 assistiti, andando in overbooking. Intanto, l’età media sale: l’ultimo decreto Pa permette ai medici di famiglia di restare in attività fino ai 73 anni, allungando una carriera già provata da ritmi intensi e da una crescente complessità organizzativa.


La riforma in agenda alle Regioni

Domani la questione approda alla Conferenza delle Regioni, dove i governatori sono chiamati a prendere posizione su uno snodo cruciale per il futuro dell’assistenza territoriale. Due i punti principali sul tavolo: l’introduzione della dipendenza per i nuovi medici che entreranno in formazione e l’obbligo per tutti di garantire almeno 18 ore settimanali di presenza nelle Case di comunità.


Dipendenza per i nuovi corsi

L’ipotesi più concreta riguarda i futuri medici di medicina generale. Chi frequenterà i nuovi corsi di formazione potrebbe essere assunto direttamente come dipendente del Servizio sanitario nazionale, superando il tradizionale rapporto convenzionale. Questo permetterebbe di garantire una maggiore stabilità contrattuale e di inquadrare i professionisti in una logica di team multidisciplinari, come previsto dal modello della medicina territoriale post-pandemica.


Presenza obbligatoria nelle Case di comunità

Parallelamente, per tutti i medici, anche quelli già in servizio, si valuta l’introduzione di un vincolo minimo: almeno 18 ore a settimana da trascorrere fisicamente nelle Case di comunità. Queste strutture, pensate per concentrare e integrare i servizi sanitari sul territorio, dovrebbero diventare il nuovo perno dell’assistenza di prossimità. L’obiettivo è aumentare l’accessibilità per i cittadini e favorire il lavoro in équipe.


Un sistema al limite

La crisi della medicina generale è ormai evidente. Le carenze si fanno sentire in ogni regione, specialmente nelle aree interne e nei quartieri periferici delle grandi città. I concorsi vanno deserti, le borse di formazione non sempre vengono scelte e molti giovani medici preferiscono orientarsi verso altri percorsi, giudicati più sicuri e meglio retribuiti. Il rischio concreto è quello di un sistema territoriale sempre più fragile, con ricadute dirette sull’efficienza del Servizio sanitario nazionale.


L’ultima chiamata

Il vertice di domani tra le Regioni rappresenta una delle ultime occasioni per invertire la rotta. Serve una riforma strutturale, che tenga conto della trasformazione sociale, della domanda di salute, della digitalizzazione dei servizi e del bisogno di nuove figure professionali integrate. Senza una strategia condivisa e lungimirante, la medicina generale rischia di diventare una risorsa residuale, compromettendo l’equilibrio complessivo del sistema sanitario italiano.


REDAZIONE AISI

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