La Federazione Italiana dei Medici di Medicina Generale (Fimmg) prende posizione nel dibattito sulla riforma della sanità territoriale, sottolineando che non c’è bisogno di una nuova riforma, ma di uno sviluppo completo e corretto del sistema già in essere.

Silvestro Scotti, segretario della Fimmg, intervistato da ‘Avvenire’, ha chiarito che il sistema di assistenza territoriale è già stato riformato con la legge Balduzzi del 2012, la quale ha introdotto le Aggregazioni Funzionali Territoriali (Aft), gruppi di 20-25 medici organizzati per garantire una copertura sanitaria quotidiana di 16 ore. Tuttavia, Scotti lamenta che la crisi economica e il ritardo nella programmazione a livello regionale hanno rallentato l’attuazione di questa legge, impedendo la sua piena realizzazione.
Il ruolo delle case di comunità: ancora poco chiaro
Un altro tema centrale del dibattito riguarda il ruolo delle Case di Comunità, strutture finanziate dal PNRR, ma la cui funzione pratica rimane, secondo Scotti, ancora poco chiara. Il segretario della Fimmg ha dichiarato: “Se le Case di Comunità riusciranno a offrire un supporto multidisciplinare, coinvolgendo specialisti, infermieri e psicologi, allora avranno un senso. Ma se, invece, diventeranno semplici luoghi dove il paziente troverà un medico ‘a consumo’, senza continuità nelle cure, allora il modello sarà destinato a fallire”.
Il cambiamento del modello lavorativo: rischi di un sistema rigidamente burocratico
Scotti ha anche espresso preoccupazioni riguardo al possibile cambiamento del modello lavorativo dei medici di famiglia. Con l'introduzione di un contratto da dipendente, infatti, si rischia di trasformare il rapporto basato sulla fiducia tra medico e paziente in un sistema più rigido e burocratico. “Un medico di medicina generale non può essere limitato a un orario fisso – ha spiegato Scotti – ma deve avere un tempo dedicato alla cura del paziente. Se il modello diventa un rapporto a ore, la qualità dell’assistenza ne risentirà. Il medico potrebbe finire il suo turno e ‘disconnettersi’ dal paziente, causando un'interruzione nelle cure”.
La perdita di motivazione e il rischio di uscita dal pubblico
Un altro aspetto critico è la possibile perdita di motivazione da parte dei medici, soprattutto per quelli che, come gli 11.000 medici di famiglia che potrebbero andare in pensione, vedessero compromessa la propria vocazione a causa di un cambiamento nel modello lavorativo. “Se questi medici si sentono traditi nel loro ruolo, potrebbero decidere di uscire dal servizio pubblico e formare cooperative private per gestire le cure territoriali, aggravando ulteriormente la situazione nel sistema pubblico”, ha avvertito Scotti.
La formazione dei medici di famiglia: non una specializzazione di serie b
Un altro tema caldo riguarda la formazione dei futuri medici di famiglia. Sebbene la Fimmg non si opponga all’introduzione di una specializzazione in Medicina Generale, Scotti sottolinea che questa formazione deve restare distinta da quella ospedaliera. “Non dobbiamo fare della Medicina Generale una specializzazione di serie B – ha affermato Scotti – ma riconoscere il suo valore e garantire che i medici di famiglia siano coinvolti direttamente nell’insegnamento. La formazione deve essere indipendente e riconosciuta per il suo valore, dato che i medici di famiglia sono la spina dorsale del nostro sistema sanitario territoriale”.
Un sistema sanitario da pianificare con visione
Infine, Scotti ha ribadito che senza una chiara pianificazione e senza il giusto coinvolgimento dei medici di famiglia, la riforma rischia di generare più problemi che soluzioni. “Senza una visione chiara, rischiamo di fare dei passi indietro anziché avanzare nel miglioramento dell’assistenza territoriale”, ha concluso Scotti. La medicina di base ha bisogno di essere rafforzata e sostenuta, non di essere messa da parte da una riforma che non affronti i reali bisogni dei pazienti e dei medici che lavorano sul territorio.
REDAZIONE AISI