Violenza psicologica, molestie, discriminazione di genere. È questa la realtà celata che si annida tra i reparti ospedalieri dove ogni giorno dottoresse, infermiere, tirocinanti e specializzande sono costrette a subire abusi sul posto di lavoro. Non solo Europa e paesi anglofoni, ma naturalmente anche le realtà sociali in via di sviluppo sono teatro di questo triste fenomeno.
«Appena ho vinto il concorso per l’indeterminato, i medici uomini hanno fatto una scommessa su quando sarei rimasta incinta», è una delle tante testimonianze raccolte dall’attivista social «Mamme a nudo», impegnata contro la violenza ostetrica.
«Ora sono ginecologa. Quando ero studentessa e frequentavo il reparto, il primario ci disse: come entrate in specialità vi mettiamo la spirale», rivela in anonimo una dottoressa. «Ogni volta che una donna diventa primaria, in ospedale scattano frasi come “Chissà con chi è andata a letto”», riporta un’altra. Non manca poi chi è stata costretta a lavorare incinta fino al settimo mese, nonostante fosse a rischio, e chi ha subito molestie sessuali fisiche.
Le testimonianze raccolte su «Mamme a nudo» delineano un squarcio di realtà che trova riscontro anche nei dati. Secondo un report di Women in Surgery Italia, rilanciato da la Repubblica, il 57% delle chirurghe e il 65% delle specializzande ha subito o continua a subire molestie sessuali.
Un tema altamente problematico che – come evidenzia la presidente di Wis Italia, Gaya Spolverato – «nessuno ha mai sollevato nel nostro Paese». A differenza di quanto accade altrove, come nel Regno Unito dove – nei mesi scorsi – ha avuto un eco mediatico rilevante la ricerca dell’Università di Exeter, pubblicata sul prestigioso British Journal of Surgery, in cui si registra che il 29% delle chirurghe britanniche ha subito avance non consensuali o indesiderate sul posto di lavoro da parte di colleghi o superiori.
I FATTI. Dalle violenze più gravi ai contatti fisici umilianti, è quanto sono costrette a subire dottoresse, infermiere, tirocinanti e specializzande sul posto di lavoro.
Un quadro agghiacciante quello dipinto dal report di Women in Surgery Italia, rilanciato da ‘La Repubblica’, che ha coinvolto 3.242 partecipanti.
Il 57% delle chirurghe e il 65% delle specializzande ha subito o continua a subire molestie sessuali. Un tema altamente problematico che, come evidenzia la presidente di Wis Italia Gaya Spolverato, «nessuno ha mai sollevato nel nostro Paese».
A differenza di quanto accade altrove, come nel Regno Unito dove, nei mesi scorsi, ha avuto un eco mediatico la ricerca dell’Università di Exeter, pubblicata sul prestigioso British Journal of Surgery, in cui si registra che il 29% delle chirurghe britanniche ha subito avance non consensuali o indesiderate sul posto di lavoro da parte di colleghi o superiori.
A riportare una testimonianza diretta è anche l’immunologa Antonella Viola, professoressa di Patologia generale all'università di Padova. "Posso raccontare due episodi diretti di molestia sessuale. Molti altri mi sono stati riferiti perché mi occupo di problemi di genere nella mia università", racconta a ‘La Repubblica’.
"E' un'esperienza abbastanza comune purtroppo", conferma Viola. "Anche a me - spiega - da ricercatrice, è capitato. Subito dopo la laurea in Biologia, proprio durante l'esame di ammissione al dottorato di ricerca. Un professore ordinario cercò in ogni modo di mettermi in difficoltà con le domande.
Vinsi il dottorato lo stesso e dopo qualche giorno lui mi chiamò nel suo ufficio. Come vedi posso renderti la vita complicata, disse, ma se prendi l'abitudine di passare dal mio studio tutti i tuoi problemi si risolveranno. Mi colse alla sprovvista. Avevo 22 anni e trent'anni fa non c'era nemmeno coscienza di questioni simili. L'unica cosa che mi venne in mente, ed è la stessa che consiglierei a una studentessa oggi, fu parlare con un professore di cui mi fidavo, quello della tesi. Lui mi promise che avrebbe discusso con il collega e per fortuna tutto si appianò.
Non ebbi più a che fare con quel docente, ma ripensandoci oggi - ragiona la scienziata - con il mio carattere avrei potuto denunciarlo. Il ricatto sessuale è un reato".
E la seconda molestia? "Stavolta ero all'estero, in Europa", ricorda Viola. "Anche lì un superiore mi fece un'avance sotto forma di ricatto. Nonostante avessi già fatto passi avanti come ricercatrice, mi ritrovai paralizzata. Provai a parlarne con qualche collega, ma capii che sarei stata io a pagare il prezzo della battaglia. Allora scelsi di fare le valigie e tornai in Italia". In merito alle sue studentesse, racconta: “Sono nel direttivo del Centro Elena Cornaro per le questioni di genere dell'università di Padova".
"Le studentesse lamentano di continuo episodi simili: ricatti sessuali da parte dei docenti e minacce di ritorsioni contro la loro carriera. Nessuna però denuncia. Si limitano a parlarne in forma anonima". Probabilmente per "paura. Le ritorsioni contro la carriera sarebbero a quel punto certe. Ci sarebbero ripercussioni sulla loro reputazione. Nessuna sceglie di andare fino in fondo".
"La sensazione" dell'immunologa "è che il problema sia serio, tra le studentesse come tra le ricercatrici, le dipendenti dell'amministrazione e le stesse docenti. L'università - osserva - è un ambiente gerarchico, in cui far pesare il proprio potere è facile. A Medicina poi c'è un clima più patriarcale rispetto ad altre facoltà. Se entri in un consiglio di dipartimento, le professoresse ordinarie sono l'eccezione. Lo stesso vale per i primari nei reparti".
È a prima volta che il tema vede la luce perché «sorprendentemente, o forse no, nel nostro Paese nessuno lo ha mai sollevato», si legge nel report redatto da Spolverato. Le denunce oltre ad essere pochissime, finisco in un nulla di fatto. Del 10% di donne che hanno segnalato l’abuso solo il 25% è stato ascoltato. Un altro 24% non è stato creduto e si è beccato u «sei esagerata».
«È ricorrente l’atmosfera di scherno sessista – dichiara Spolverato a La Repubblica – che oltretutto, psicologicamente, ha un effetto inibitore per la scalata delle donne verso posizioni apicali». Chi diventa primaria si sente dire che «ha ancora i lividi alle ginocchia per quanti ne ha succhiati». Poi c’è il terrore vero, riportato da più testimoni: il turno di guardia.
Francesca Farina, anestetista, in una clinica privata di Padova, ha rischiato di essere stuprata da un gruppo di colleghi. «Una collega mi disse di chiudermi a chiave e di non aprire per nessun motivo».
L’approccio predatorio, emerge dal report, è spesso evidente sin da subito. E se le strutturate solo “solo” un gioco erotico, per le specializzande è ancora peggio. Quando lo era Farina, un noto primario di Padova, come riporta ‘La Repubblica’, le promise l’esclusiva in sala operatoria se fosse andata in hotel con lui, «come fosse prassi». Chi subisce abusi può rivolgersi al Cug, comitati unici di garanzia per le pari opportunità. Spazi che esistono, ma spesso non funzionano perché occupati da interni: quando non abusanti, loro amici e sottoposti, dichiarano i medici.
Ecco perché, secondo le testimoni, far gestire il Cug da uno staff esterno potrebbe cambiare le cose. Qualcuno che abbia «potere decisionale, e che ascolti perché oggi gli autori di molestie sanno che non avranno ripercussioni, mentre chi denuncia sì», evidenzia Spolverato.
DAL MONDO. LO SCANDALO DEL REGNO UNITO, IL VASO DI PANDORA. Un vero e proprio vaso di Pandora la cui apertura ha sconvolto la Gran Bretagna: dall'indagine del British Journal of Surgery, emergono molestie sessuali ai danni delle dottoresse e delle infermiere nelle sale operatorie degli ospedali inglesi, persino durante gli interventi. Le violenze sono rimaste nascoste per anni dietro un muro di silenzio che nel tempo si è trasformato, scrive la BBC, nel "segreto di Pulcinella della chirurgia".
Le dottoresse hanno raccontato tramite una serie di sondaggi anonimi realizzato su un campione di 1400 chirurghi che il 63% delle professioniste in sala operatoria è stato oggetto di molestie da parte dei colleghi durante le operazioni. Il 30% di loro è stata aggredita sessualmente da un collega mentre l'11% delle dottoresse ha riferito di contatti fisici forzati legati alle opportunità di carriera.
Le cifre più allarmanti arrivano quando si apre il capitolo degli episodi ai quali dottoresse e infermiere hanno riferito di aver assistito da testimoni: circa il 90% delle professioniste della sanità inglesi hanno assistito a molestie sul lavoro nei confronti delle colleghe. A comportamenti non idonei, invece, dichiara di aver assistito sul lavoro l'81% degli uomini impiegati negli ospedali del Paese.
Più che i numeri, sono ancora più spaventose le storie raccontate dalle donne che lavorano ogni giorno in corsia. Una dottoressa ha raccontato di aver subito molestie all'inizio della carriera, quando non aveva potere in sala operatoria. In particolare, durante un intervento chirurgico, il medico che stava operando di sarebbe girato e avrebbe "seppellito la testa nel seno dell'aspirante dottoressa per asciugarsi il sudore".
"Quando lo ha fatto la seconda volta gli ho chiesto se voleva un asciugamano – ha spiegato la donna – ma lui ha rifiutato dicendo che questo era molto più divertente. Mi sentivo sporca e umiliata, non era nemmeno la persona più anziana in sala operatoria. Sapeva che il suo comportamento sarebbe stato accettato e tutto questo è davvero marcio".
Lo schema è quasi sempre lo stesso: una specializzanda che si trova in sala operatoria con un chirurgo senior. Un'altra giovane dottoressa ha raccontato di essere stata violentata dal suo "maestro" in sala operatoria. "Sono stata costretta a un rapporto sessuale dopo una conferenza medica – ha raccontato la professionista -. Io ero una tirocinante, lui era il mio mentore e io mi fidavo di lui. Mi aveva chiesto di seguirlo e io l'ho fatto, pensavo volesse parlare di lavoro, invece si è girato e mi ha costretto a un rapporto che non ho mai voluto. Non credevo di poter denunciare, per me è stato terribile. Il ricordo continua a tormentarmi, anche quando devo operare un paziente".
Dalle denunce delle donne del settore, emerge uno schema fortemente gerarchico e maschilista che usa le molestie come affermazione sgradita di una posizione lavorativa superiore. Chi si macchia delle molestie, sa che le aspiranti dottoresse sono convinte di non poter denunciare per evitare di diventare ricattabili.
REDAZIONE AISI
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