La frammentazione è una delle principali criticità del sistema di salute mentale nel nostro Paese. Nonostante la necessità di garantire una continuità terapeutica tra pazienti e professionisti, la realtà operativa è caratterizzata da interventi scollegati, spesso minimali, che contribuiscono a una miscela di azioni scoordinate. Invece di promuovere un approccio unitario e strategico, si assiste a una gestione affannata che sacrifica la centralità del paziente a favore di pratiche inefficaci e frammentate. E naturalmente a tutto questo si aggiunge la cronica carenza di professionisti.

Questa dispersione si riflette su più livelli, a partire dalla struttura stessa dei Dipartimenti di Salute Mentale (DSM). Modelli organizzativi ispirati a logiche tayloristiche segmentano i servizi in diverse unità funzionali – come SPDC, CSM, CD e CT – ciascuna con competenze specifiche per acuzie, cure o riabilitazione, ma prive di una reale integrazione. A ciò si aggiunge l’espansione di ambulatori specialistici per patologie specifiche, che ulteriormente complicano il quadro frammentario.
Un esempio di questa frammentazione è il recente potenziamento di un numero verde per la prevenzione dei suicidi nella Regione Veneto, con un’estensione delle competenze al supporto psicologico per emergenze comunitarie. Sebbene l’iniziativa sia lodevole, la mancanza di collegamento tra questo servizio regionale e le strutture territoriali, come i CSM o i consultori familiari, evidenzia un disallineamento che mina l’efficacia complessiva del sistema.
Le difficoltà di integrazione emergono anche in altre aree. Il Bonus Psicologico, per esempio, rifinanziato con una dotazione inferiore rispetto al 2023, ha accolto solo una minima parte delle domande pervenute, lasciando irrisolte le esigenze di un malessere che coinvolge milioni di persone. Parallelamente, l’uso crescente di antidepressivi e antipsicotici – rispettivamente 6,6 milioni e 1,2 milioni di persone – sottolinea l’assenza di interventi alternativi non farmacologici adeguati.
Criticità si osservano anche nella gestione della psicologia ospedaliera, che è stata progressivamente separata dai DSM, e nella psichiatria carceraria, dove la carenza di risorse pubbliche costringe a un ricorso massiccio a professionisti privati. Iniziative come lo psicologo di base, gli sportelli psicologici comunali o la presenza di psicologi nelle scuole appaiono frammentate, con scarsi legami con le altre reti di supporto, mentre il sistema residenziale e semiresidenziale si appoggia sempre più a enti privati, ampliando la distanza dal coordinamento pubblico.
In definitiva, la moltiplicazione di interventi disconnessi – pur testimoniando la crescente domanda di aiuto – rivela la mancanza di una visione complessiva. È evidente l’assenza di un progetto unitario capace di integrare in modo organico i diversi servizi, evitando la dispersione di risorse e il proliferare di frammenti operativi.
Per affrontare in modo efficace le sfide della salute mentale, è necessario ripensare il sistema in termini strategici, superando una gestione minimale e costruendo un modello realmente inclusivo e coordinato.
REDAZIONE AISI
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