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Prevenzione sanitaria: e se tornasse il "monopolio di Stato" per uscire dalla crisi?

Immagine del redattore: AISIAISI

L’arrivo del Covid-19 alla fine del 2019, in assenza di un vero piano nazionale di gestione pandemica, ha confermato una realtà già nota da tempo. L’eliminazione graduale del ruolo un tempo affidato agli ufficiali sanitari, alle condotte veterinarie e ai medici provinciali ha trasformato la prevenzione sanitaria in una semplice teoria. Inoltre, i fondi insufficienti dedicati a questo settore hanno indebolito le comunità locali, limitando interventi efficaci sia in termini di profilassi che di risposte rapide.

L’allocazione del 4%, poi innalzato al 5%, del Fondo sanitario nazionale alla prevenzione dimostra come il nostro Paese abbia trascurato la lotta contro le malattie infettive, l’educazione sanitaria e nutrizionale, e gli interventi per contrastare l’invecchiamento precoce della popolazione.


Un sistema di prevenzione che ha fallito

Il sistema di tutela nei luoghi di vita e di lavoro, in pratica, non ha funzionato. Si è rivelato inefficace, con i dipartimenti territoriali della prevenzione che, a parte la somministrazione di vaccini, hanno fatto ben poco.


La prevenzione veterinaria, da parte sua, ha permesso la diffusione di malattie come la brucellosi, la tubercolosi e persino la peste, senza adeguate misure di contenimento, aggravando le condizioni di salute animale e pubblica. La pandemia ha dimostrato chiaramente che l’onere delle emergenze sanitarie è ricaduto quasi interamente sugli ospedali, in particolare sulle terapie intensive, evidenziando l’assenza di un approccio preventivo a tutto campo.


L’attuale assetto regionale, che lascia alle singole amministrazioni competenze cruciali in tema di prevenzione, si è dimostrato inadeguato. Il sistema di assistenza territoriale è ormai il punto debole del Servizio sanitario nazionale, con la medicina di prossimità ridotta a un’utopia e i distretti trasformati in semplici uffici burocratici.


L’immigrazione, inoltre, influenzerà sempre di più la domanda sanitaria, e il sistema preventivo dovrà adattarsi per rispondere a questa nuova realtà. Le Case di comunità, se realizzate e rese operative, potrebbero rappresentare uno strumento fondamentale per integrare la programmazione nazionale in materia di prevenzione.


Lo Stato deve riassumere il controllo

Alla luce delle nuove sfide, è necessaria una riorganizzazione che preveda un ampliamento delle competenze statali nel campo della prevenzione. Questo ambito deve includere ogni attività sanitaria con scopi preventivi, superando le attuali attribuzioni limitate alla profilassi internazionale, come definito dall’articolo 117 della Costituzione.


La Corte costituzionale, con la sentenza 37/2021, ha già sancito che in situazioni di emergenza sanitaria lo Stato può accentrare su di sé le funzioni regolatorie, limitando l’autonomia regionale. Con emergenze sempre più frequenti, spesso legate anche ai flussi migratori, è fondamentale che lo Stato mantenga un controllo diretto su tutte le azioni preventive, rendendole una priorità tra i Livelli essenziali di assistenza (Lea).


La prevenzione e il cambiamento demografico

L’attuale sistema, nato dalla grande riforma del 1978, si è dimostrato inadeguato per affrontare le esigenze delle società moderne. La crescente proporzione di anziani e persone ultraottantenni nella popolazione richiede politiche preventive specifiche, che supportino i cittadini fin dall’età adulta. Parallelamente, è necessario promuovere uno sviluppo culturale tra i giovani che favorisca il benessere psico-fisico a lungo termine.

L’economia legata alla popolazione anziana, o silver economy, dovrebbe diventare un’area di attenzione prioritaria, con politiche che incentivino consumi più sani, specialmente sul piano alimentare.


Verso un “monopolio di Stato” per la prevenzione

Per affrontare queste sfide, la politica propone la creazione di un monopolio statale della prevenzione, che coordini tutte le attività preventive, dall’educazione sanitaria al controllo delle malattie croniche, fino all’integrazione degli immigrati. Questo approccio centralizzato permetterebbe una gestione uniforme ed efficace su tutto il territorio nazionale, superando le disparità regionali.


Sul piano europeo, un sistema simile potrebbe favorire la diffusione di politiche comuni di prevenzione e il rafforzamento del welfare assistenziale, con un impatto positivo anche sulla riduzione dei costi previdenziali.

In conclusione, un monopolio statale della prevenzione rappresenterebbe uno strumento chiave per garantire il benessere della popolazione, intervenendo sia nelle emergenze che nella promozione di stili di vita sani, adattando le politiche sanitarie alle esigenze specifiche di ogni territorio e generazione.


REDAZIONE AISI

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