La proposta per ora più accrediata prevede di innalzare i requisiti per la pensione di vecchiaia, stabilendo un minimo di 25 anni di contributi anziché i 20 attuali, e di razionalizzare i pensionamenti per i lavori gravosi.
Sul tavolo del governo tra poche settimane torneranno le pensioni, in vista della manovra di fine anno che già a fine estate dovrà essere approntata. Le ultime proposte per una riforma arrivano da Alberto Brambilla, Presidente del Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali, e Antonietta Mundo, membro del Comitato Tecnico Scientifico dello stesso Centro.
I due esperti hanno suggerito un nuovo approccio alla pensione, introducendo una maggiore flessibilità in uscita dai 63/64 anni fino ai 72 anni, con penalizzazioni per chi sceglie di ritirarsi prima dei 67 anni. Inoltre, propongono di innalzare i requisiti per la pensione di vecchiaia, stabilendo un minimo di 25 anni di contributi anziché i 20 attuali, e di razionalizzare i pensionamenti per i lavori gravosi.
Intanto è bene fare una premessa: con la legge di bilancio varata a fine 2023, il governo di Giorgia Meloni ha deciso di tirare il freno sui pensionamenti anticipati, riconfermando quota 103 (pensione con 62 anni di età e 41 di contributi) ma con importi più bassi e requisiti più stringenti.
Nel corso degli ultimi mesi poi si sono rincorse diverse possibilità, tra cui la promessa elettorale della Lega di rilanciare quota 41 (41 anni di contributi a prescindere dall'età), ma questo porterebbe certamente ad assegni ridotti. L'idea lanciata da Alberto Brambilla e Antonietta Mundo si basa sulla "flessibilità". L'intenzione infatti sarebbe quella di permettere di lasciare il lavoro con più libertà dai 63/64 anni fino ai 72 anni di età. Con la premessa, però, che chi va in pensione prima dei 67 anni otterrebbe un assegno più basso.
In più, il requisito per ottenere la pensione di vecchiaia si alzerebbe: non più 67 anni di età e 20 di contributi, ma 67 anni di età e 25 di contributi. Cinque anni di lavoro in più, quindi, per ottenere l'assegno pieno. Certo, se questa proposta venisse poi trasformata concretamente in legge sarebbe una brutta sorpresa per chi è appena arrivato a 67 anni più 20 di contributi, e si troverebbe a lavorare per altri cinque anni. Ma al momento si parla ancora di proposte sulla carta, lontane dall'essere messe in pratica.
Un requisito aggiuntivo è che per andare in pensione bisognerebbe aver maturato un assegno pari almeno a 1,5 volte l'assegno sociale. Per il 2024, questo vorrebbe dire una pensione di circa 800 euro al mese.
Questa soglia minima verrebbe fissata per evitare che una persona decida di lasciare il lavoro troppo presto e si trovi poi in povertà più avanti.
L'obiettivo in generale è far sì che le pensioni vadano erogate per meno anni, per rendere la situazione più sostenibile dal punto di vista economico. Non a caso, tra le proposte del centro studi c'è anche quella di aumentare l'assegno previdenziale per chi resta al lavoro anche dopo i 67 anni.
Una linea chiara: penalizzazioni per chi va in pensione prima, premi per chi lo fa dopo (il centro aveva già proposto un ‘superbonus in busta paga‘ per chi lascia il lavoro a 71 anni). Resta da vedere se il governo deciderà di sposare questo approccio nelle sue prossime riforme.
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