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Molestie negli ospedali, 6 su 10 hanno subito abusi sul lavoro

Le testimonianze choc di infermiere e chirurghe.

Migliaia le testimonianze di dottoresse e infermiere ma solo una su 10 denuncia. Il report di Women in Surgery Italia. La denuncia anche dell’immunologa Antonella Viola.


Dalle violenze più gravi ai contatti fisici umilianti, è quanto sono costrette a subire dottoresse, infermiere, tirocinanti e specializzande sul posto di lavoro. Un quadro agghiacciante quello dipinto dal report di Women in Surgery Italia, rilanciato da ‘La Repubblica’, che ha coinvolto 3.242 partecipanti.


Il 57% delle chirurghe e il 65% delle specializzande ha subito o continua a subire molestie sessuali. Un tema altamente problematico che, come evidenzia la presidente di Wis Italia Gaya Spolverato, «nessuno ha mai sollevato nel nostro Paese».


A differenza di quanto accade altrove, come nel Regno Unito dove, nei mesi scorsi, ha avuto un eco mediatico la ricerca dell’Università di Exeter, pubblicata sul prestigioso British Journal of Surgery, in cui si registra che il 29% delle chirurghe britanniche ha subito avance non consensuali o indesiderate sul posto di lavoro da parte di colleghi o superiori. A riportare una testimonianza diretta è anche l’immunologa Antonella Viola, professoressa di Patologia generale all'università di Padova.


"Posso raccontare due episodi diretti di molestia sessuale. Molti altri mi sono stati riferiti perché mi occupo di problemi di genere nella mia università", racconta a ‘La Repubblica’.

"E' un'esperienza abbastanza comune purtroppo", conferma Viola. "Anche a me - spiega - da ricercatrice, è capitato.


Subito dopo la laurea in Biologia, proprio durante l'esame di ammissione al dottorato di ricerca. Un professore ordinario cercò in ogni modo di mettermi in difficoltà con le domande. Vinsi il dottorato lo stesso e dopo qualche giorno lui mi chiamò nel suo ufficio. Come vedi posso renderti la vita complicata, disse, ma se prendi l'abitudine di passare dal mio studio tutti i tuoi problemi si risolveranno.


Mi colse alla sprovvista. Avevo 22 anni e trent'anni fa non c'era nemmeno coscienza di questioni simili. L'unica cosa che mi venne in mente, ed è la stessa che consiglierei a una studentessa oggi, fu parlare con un professore di cui mi fidavo, quello della tesi. Lui mi promise che avrebbe discusso con il collega e per fortuna tutto si appianò. Non ebbi più a che fare con quel docente, ma ripensandoci oggi - ragiona la scienziata - con il mio carattere avrei potuto denunciarlo. Il ricatto sessuale è un reato".


E la seconda molestia? "Stavolta ero all'estero, in Europa", ricorda Viola. "Anche lì un superiore mi fece un'avance sotto forma di ricatto. Nonostante avessi già fatto passi avanti come ricercatrice, mi ritrovai paralizzata.


Provai a parlarne con qualche collega, ma capii che sarei stata io a pagare il prezzo della battaglia. Allora scelsi di fare le valigie e tornai in Italia". In merito alle sue studentesse, racconta: “Sono nel direttivo del Centro Elena Cornaro per le questioni di genere dell'università di Padova". "Le studentesse lamentano di continuo episodi simili: ricatti sessuali da parte dei docenti e minacce di ritorsioni contro la loro carriera. Nessuna però denuncia. Si limitano a parlarne in forma anonima".


Probabilmente per "paura. Le ritorsioni contro la carriera sarebbero a quel punto certe. Ci sarebbero ripercussioni sulla loro reputazione. Nessuna sceglie di andare fino in fondo". "La sensazione" dell'immunologa "è che il problema sia serio, tra le studentesse come tra le ricercatrici, le dipendenti dell'amministrazione e le stesse docenti. L'università - osserva - è un ambiente gerarchico, in cui far pesare il proprio potere è facile.


A Medicina poi c'è un clima più patriarcale rispetto ad altre facoltà. Se entri in un consiglio di dipartimento, le professoresse ordinarie sono l'eccezione. Lo stesso vale per i primari nei reparti".

È a prima volta che il tema vede la luce perché «sorprendentemente, o forse no, nel nostro Paese nessuno lo ha mai sollevato», si legge nel report redatto da Spolverato. Le denunce oltre ad essere pochissime, finisco in un nulla di fatto. Del 10% di donne che hanno segnalato l’abuso solo il 25% è stato ascoltato.


Un altro 24% non è stato creduto e si è beccato u «sei esagerata». «È ricorrente l’atmosfera di scherno sessista – dichiara Spolverato a La Repubblica – che oltretutto, psicologicamente, ha un effetto inibitore per la scalata delle donne verso posizioni apicali». Chi diventa primaria si sente dire che «ha ancora i lividi alle ginocchia per quanti ne ha succhiati». Poi c’è il terrore vero, riportato da più testimoni: il turno di guardia. Francesca Farina, anestetista, in una clinica privata di Padova, ha rischiato di essere stuprata da un gruppo di colleghi. «Una collega mi disse di chiudermi a chiave e di non aprire per nessun motivo».


L’approccio predatorio, emerge dal report, è spesso evidente sin da subito. E se le strutturate solo “solo” un gioco erotico, per le specializzande è ancora peggio. Quando lo era Farina, un noto primario di Padova, come riporta ‘La Repubblica’, le promise l’esclusiva in sala operatoria se fosse andata in hotel con lui, «come fosse prassi».


Chi subisce abusi può rivolgersi al Cug, comitati unici di garanzia per le pari opportunità. Spazi che esistono, ma spesso non funzionano perché occupati da interni: quando non abusanti, loro amici e sottoposti, dichiarano i medici.


Ecco perché, secondo le testimoni, far gestire il Cug da uno staff esterno potrebbe cambiare le cose. Qualcuno che abbia «potere decisionale, e che ascolti perché oggi gli autori di molestie sanno che non avranno ripercussioni, mentre chi denuncia sì», evidenzia Spolverato.


REDAZIONE AISI

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