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Medici, ripensare il percorso della formazione

Resta aperto il tema della «liberalizzazione della rete formativa»: non tutti gli ospedali sono uguali, non tutti sono in grado di fornire le strutture adeguate alla formazione completa di un giovane medico.

Le università italiane non sempre sono in cima alle classifiche internazionali ma hanno sempre avuto la capacità, malgrado le scarse risorse, di formare buoni medici, richiesti ovunque nel mondo. Il sistema ha molte pecche ma in qualche modo negli anni è riuscito ad autocorreggersi e garantire un buon livello ai propri studenti e specializzandi. 


Con la pandemia è apparso evidente a tutti come la programmazione fatta negli ultimi 20 anni fosse stata sbagliata e sono emerse con forza tutte le carenze di professionisti. Si è cercato di porre un argine consentendo con due diverse misure (il decreto Calabria e una norma contenuta nel milleproroghe) l’assunzione degli specializzandi prima che sia completato tutto il loro iter formativo.


Recentemente questo indirizzo si sta ulteriormente ampliando permettendo loro di svolgere le attività anche al di fuori degli ospedali che costituiscono la rete formativa delle scuole di specialità (quelli, cioè, identificati secondo alcuni criteri specifici e certificati dall’apposito Osservatorio nazionale) e mettendo in dubbio la necessità degli esami di verifica annuali effettuati dalle Scuole. 


Questo determinerebbe un completo sovvertimento dell’attuale percorso formativo che merita una attenta riflessione.


Bene ha fatto la ministra dell’Università e Ricerca Bernini a sollevare perplessità e a sottolineare l’importanza della valutazione periodica delle Scuole.


Resta poi aperto il tema della «liberalizzazione della rete formativa»: non tutti gli ospedali sono uguali, non tutti sono in grado di fornire le strutture adeguate alla formazione completa di un giovane medico e non ovunque esiste la cultura della ricerca che deve assolutamente essere insegnata ai giovani. Non è poi chiaro chi verificherà la qualità di queste strutture e la loro rispondenza a certi requisiti. 


Molti credono che questa sia una battaglia di retroguardia e che un medico neolaureato sia già in grado di fare tutto. Ma non è proprio così, un medico appena conseguita la laurea (dalla pandemia divenuta immediatamente abilitante alla professione) ha ancora un importante pezzo di strada da fare e, se lo dimentichiamo, rischiamo una caduta di qualità dei nostri professionisti.


Forse è venuto il momento di ripensare complessivamente il percorso dei medici in formazione specialistica, anche alla luce delle esperienze di altri paesi europei, prima che sia dettato, come sta avvenendo, solo da necessità contingenti, con il rischio che la toppa sia peggio del buco.


REDAZIONE AISI

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