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Medici-Infermieri: le ragioni dello sciopero

Aggiornamento: 3 nov

Pierino De Silverio, leader dell'Anaao: "Lo sciopero nazionale del 20 novembre, proclamato da Anaao Assomed, Cimo-Fesmed e Nursing Up a poche ore di distanza dalla pubblicazione del testo della Legge di bilancio 2025, ha suscitato clamore, ma certo non sorpresa".

Il fatto è che dopo le tante dichiarazioni di una sanità al centro dell’agenda politica e di professionisti da valorizzare, forte è stata la delusione per misure al di sotto delle necessità, delle richieste e delle promesse.


Ridotte al lumicino le risorse necessarie per una politica di assunzioni che recuperi i tagli del passato, elimini il fenomeno dei “gettonisti” e migliori le condizioni di lavoro.


Le liste di attesa rimangono esse stesse in attesa di tempi migliori, i futuri contratti di lavoro vengono finanziati ad un tasso che recupera (forse) solo la inflazione, la formazione post laurea dei medici deve accontentarsi di briciole a futura memoria, e per quella dei dirigenti sanitari non ci sono nemmeno quelle.


L’indennità di specificità, che esprime la peculiarità della professione, trova, al posto della promessa defiscalizzazione, un incremento minimale e, per di più, rateale e legato a un contratto di lavoro di incerta tempistica. Il tutto condito dall’insoddisfazione delle risposte al tema della responsabilità professionale, dalla crescente occupazione universitaria della direzione di UUOO del SSN, favorita da provvedimenti legislativi regionali, dal moltiplicarsi delle inadempienze degli obblighi contrattuali da parte delle Aziende e delle Regioni.


La spesa sanitaria è cresciuta nei valori nominali, ma sconta una consistente perdita di potere di acquisto a causa dell’inflazione, rimanendo al di sotto delle necessità di un SSN in crisi profonda. Il 6,2 % del PIL ci inchioda all’ultimo posto tra i Paesi del G7, né cambia la graduatoria con la spesa pro-capite.


Siamo lontani da quel 7% che lo stesso Ministro della Salute indicava come traguardo minimo, con una spesa privata tra le più alte in Europa. Mentre il 7,6% della popolazione rinuncia alle cure per problemi economici e organizzativi e l’1,6% delle famiglie si impoverisce per cause legate alla salute, la sanità privata accreditata porta a casa un ulteriore aumento, dopo quello della legge di bilancio 2024.


Il livello del finanziamento della sanità è una scelta politica, specie in contesto di risorse scarse, ed è la coscienza della profondità della crisi e dell’insufficienza delle risposte messe in campo, al di là dei proclami e degli annunci, a spingere le organizzazioni sindacali allo sciopero. Una protesta, ma anche un richiamo alla politica affinché comprenda che la vera posta in gioco è la sopravvivenza di un servizio sanitario pubblico e nazionale.


Nel quale il personale rappresenta una risorsa strategica che regge il fronte di una domanda crescente e complessa, anche per l’invecchiamento della popolazione, con risorse insufficienti, esposto alla delegittimazione sociale ed alle aggressioni verbali e fisiche, specie nei PS, luoghi simbolo della negazione di diritti che cittadini e medici vivono su fronti opposti.


Per dirla con le parole del Ministro Schillaci, “il rilancio della sanità pubblica passa dalla valorizzazione del personale”. In quest’ottica, la questione delle retribuzioni è questione politica perché riguarda il valore del lavoro e quello di chi lo fa. Restituire autorevolezza al lavoro dei professionisti sanitari, anche attraverso la leva economica, è condizione indispensabile per consentire loro di operare con responsabilità, efficienza ed efficacia.


Una politica retributiva inadeguata, anche rispetto a quella degli altri Paesi, disincentiva la stessa domanda di formazione e alimenta le fughe, sia di chi è dentro il sistema sia di chi si appresta ad entrare.


E condanna all’impoverimento progressivo, senza scomodare l’ottocentesco concetto di indigenza, professionisti che, con un lavoro sempre più gravoso e rischioso, rendono esigibile per i cittadini, tutti i giorni e tutte le notti, l’unico diritto che la Costituzione definisce ‘fondamentale’.


Tra il 2015 e il 2022 le retribuzioni dei medici dipendenti sono diminuite, in termini reali, del 6,1% (Censis 2024). E il Ccnl 2022-2024 è sì incrementato, come ricorda il Ministro, del 6% ma a fronte di un indice inflattivo superiore al 16% nel triennio. Questi numeri, uniti al peggioramento delle condizioni di lavoro, sono una conferma del mancato investimento su quella che pure si considera “risorsa chiave”, il cui problema principale è oggi la ridotta capacità attrattiva.


C’è una criticità evidente nella frustrazione e insoddisfazione del personale, medico soprattutto, numericamente carente, demotivato, stressato e oberato di attività, in preda a un disagio lavorativo amplificato oltre ogni misura. Che rischia di sommarsi alla crisi di fiducia dei cittadini a fronte della montagna di prestazioni negate.


Certo, la sanità è stata un bancomat dei Governi di ogni colore, fino a precipitare sull’orlo di una crisi profonda ma è la stessa sostenibilità del sistema sanitario pubblico che rischia di essere sacrificata, oggi, sull’altare di scelte governative che vedono la salute ancora agli ultimi posti nella scala delle priorità.


Alla base dello sciopero c’è la consapevolezza che il destino della sanità pubblica è interesse non solo sindacale ma sociale e politico. Non è un caso che la salute sia diventata oggi il primo problema per l’80% dei cittadini, né è da sottovalutare il rischio che il liquefarsi del SSN produca un disastro sociale e civile di dimensioni oggi inimmaginabili.


Spetta al Governo, alla politica e alle Istituzioni mettere in campo, a partire dalla legge di bilancio 2025, tutte le soluzioni per garantire il diritto alle cure e il diritto a curare ed evitare la fine di quel SSN che della unità del Paese è “presidio insostituibile”, secondo il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella.


REDAZIONE AISI

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