I medici di famiglia stanno attraversando una delle crisi più profonde degli ultimi decenni. In vent’anni il loro numero è diminuito sensibilmente, e quelli rimasti sono più anziani e costretti a seguire un numero crescente di pazienti. Le prospettive per il futuro? Incerte, ma si parla di una riforma che potrebbe rivoluzionare il sistema.

Una crisi annunciata
Dal 2002 al 2022 i numeri parlano chiaro: il numero di medici di famiglia è passato da oltre 46mila a poco più di 39mila, un calo del 16%. Questi dati, forniti dal ministero della salute, descrivono un settore incapace di garantire un adeguato ricambio generazionale. Se vent’anni fa appena il 12% dei medici aveva più di 27 anni di anzianità, oggi quella percentuale è salita al 72%.
I numeri medi dei pazienti per medico sono aumentati: si è passati da circa 1.100 assistiti per professionista agli attuali 1.301. Quasi la metà dei medici supera il massimale di 1.500 pazienti, con punte del 70% in alcune regioni.
A peggiorare il quadro, una popolazione sempre più anziana, che necessita di cure frequenti e complesse.
Le ragioni del declino
Diversi fattori hanno contribuito a questa crisi. Cambiamenti sociali, come la diffusione di internet e il fenomeno “Dr. Google”, hanno modificato profondamente il rapporto tra medico e paziente. Il carico burocratico è aumentato, gli investimenti sono diminuiti e, negli ultimi dieci anni, la spesa per l’assistenza medica generica ha perso un punto percentuale.
C’è poi il problema dell’attrattività. I giovani vedono la professione come una seconda scelta, con borse di formazione ridotte rispetto a quelle delle specializzazioni universitarie. Mancano opportunità di carriera, non ci sono tutele per malattia, e le spese per gestire uno studio sono interamente a carico del medico.
A tutto ciò si aggiunge una percezione pubblica sempre più negativa della categoria.
L’impatto della pandemia
La pandemia ha messo in evidenza le debolezze del sistema. Gli studi medici chiusi durante le fasi iniziali dell’emergenza sanitaria e le polemiche sui compensi per i tamponi hanno danneggiato ulteriormente l’immagine della categoria. Tuttavia, molti professionisti hanno continuato a lavorare incessantemente, sia negli studi che in modalità remota, per gestire la crisi.
Tentativi di riforma
Negli anni sono stati fatti vari tentativi per migliorare la situazione. Dalle unità di cure primarie alle Case della comunità, il sistema ha cercato di incentivare la collaborazione tra professionisti e di aumentare l’accessibilità ai servizi. Tuttavia, i risultati sono stati parziali e il sistema è ancora lontano dall’essere sostenibile.
Un esempio è il piano diagnostico di primo livello finanziato con 235 milioni di euro nel 2020. Quelle risorse, pensate per ammodernare gli studi medici, sono state in gran parte dirottate sulle Case della comunità, lasciando molte iniziative incomplete.
Verso la dipendenza?Negli ultimi mesi si è tornati a discutere di un cambio di paradigma: rendere i medici di famiglia dipendenti del Servizio sanitario nazionale. La proposta prevede un contratto diretto per i nuovi professionisti e una transizione per quelli già in convenzione, con obblighi di lavoro nelle Case della comunità.
Questo approccio potrebbe risolvere alcune criticità, come la carenza di personale nelle aree svantaggiate e la mancanza di tracciabilità dell’attività lavorativa. Tuttavia, restano diverse incognite: la gestione dei costi, il ruolo dell’Enpam, il mantenimento del rapporto fiduciario con i pazienti e l’organizzazione della fase di transizione.
Un futuro incerto
Le prossime settimane potrebbero essere decisive. Con il sistema sanitario territoriale sotto pressione e le Case della comunità operative solo al 30%, è evidente che il sistema ha bisogno di un cambio radicale. Ma per evitare nuovi fallimenti, sarà necessario costruire una riforma solida, capace di rispondere alle esigenze dei medici e dei cittadini.
REDAZIONE AISI
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