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Liste attesa, consulta conferma divieto a medici Ssn di svolgere intramoenia nel privato convenzionato

I medici del Servizio sanitario possono svolgere la libera professione nelle strutture private pure, ma non in quelle convenzionate con il Servizio sanitario pubblico. Il perché lo spiega la Corte Costituzionale.

I medici del Servizio sanitario possono svolgere la libera professione nelle strutture private pure, ma non in quelle convenzionate con il Servizio sanitario pubblico. Il perché lo spiega la Corte Costituzionale nella sentenza 153 depositata il 29 luglio scorso, che annulla disposizioni importanti di una legge ligure.


La legge regionale 20 del 28 dicembre 2023 all’articolo 47 disponeva che, per migliorare l’integrazione tra strutture facenti parte del servizio sanitario, i dirigenti sanitari potessero fino a tutto il 2025 esercitare la libera professione intramoenia, sotto controllo Asl, in strutture anche accreditate interamente o parzialmente con il servizio sanitario.


Motivo: la Regione iniziava così a conoscere l’entità delle reali liste d’attesa per i suoi residenti e a porre rimedio. Intanto però rivendicava un potere che la legge nazionale non le dà. La Consulta ha confermato il no.


Il ricorso del governo

Il consiglio dei ministri il 4 marzo ha proposto il ricorso. Il governatore Giovanni Toti ha replicato che avrebbe ritirato il dispositivo contestato a fronte di misure efficaci contro le attese, tipo incentivi per le ore aggiuntive svolte dai professionisti sanitari.


Ironia della sorte, quando il decreto liste d’attesa del governo ha proposto la detassazione di queste ore straordinarie, il governatore era indagato per vicende della pregressa campagna elettorale.


Con una situazione ingessata si è arrivati al contraddittorio in consulta. Qui l’Avvocatura dello stato ha spiegato che non tutti i medici percettori dell’indennità di esclusività svolgono la libera professione ma solo alcuni, soggettivamente individuati, e contrattualizzati dal Servizio sanitario attraverso l’azienda sanitaria da cui dipendono.


Questo rapporto peculiare con il Ssn ha direttamente a che fare con la tutela del diritto alla salute degli italiani: le regioni non possono intervenire a modificare il contratto del medico. Il governo aggiunge che non solo è vietato operare l’Alpi in strutture convenzionate; lo stesso uso di spazi fuori dalle mura ospedaliere va considerato “eccezionale” e “transitorio”, tanto che la legge Balduzzi 158/2012 indica la strada delle convenzioni tra Asl-ospedale e struttura privata pura per favorire il controllo da parte dell’azienda dell’entità della libera professione dei medici (che mai, per legge, deve superare i volumi dell’attività istituzionale).


Perché la Consulta dà torto alla Regione

La Consulta pone l’attività libero professionale intramuraria dei dirigenti sanitari in diretta connessione con la materia della tutela della salute (sentenze 98/23 e 170/2020) che è “sorvegliata” dal governo.


Il combinato tra legge 833/1978 istitutiva del servizio sanitario e Dpr 761/1979) sottende che la libera professione è possibilità offerta dal Ssn per “accrescere l’esperienza e la competenza del medico nell’interesse degli utenti e della collettività”. Agli esordi, l’Alpi fu limitata alle sole strutture dell’Usl.


La legge 412 nel 1991 all’articolo 4 comma 7 la riconosceva anche fuori delle mura ospedaliere ma esclude la possibilità di esercitarla in strutture private convenzionate con il Ssn.


La legge Bindi 229/99 ed ulteriori proroghe hanno confermato l’indirizzo dello stato: le strutture private convenzionate/accreditate dal Ssn svolgono “una funzione integrativa e sussidiaria della rete sanitaria pubblica” …ma non sono quella rete.


Il medico non ne può dipendere, non può rischiare di togliere parte del suo lavoro per conferirlo ad azienda che nasce esterna al Ssn. Il divieto di svolgere l’Alpi in strutture convenzionate è «principio fondamentale, volto a garantire una tendenziale uniformità tra le diverse legislazioni ed i sistemi sanitari di Regioni e Province autonome in ordine a un profilo qualificante del rapporto tra sanità ed utenti» (sentenza n. 371 del 2008).


Medici ed infermieri

La Corte distingue infine tra l’intramoenia dei dirigenti sanitari e la chance data in tempi di pandemia agli operatori delle professioni sanitarie di svolgere prestazioni fuori orario di servizio, autorizzati dall’Asl: «il rapporto con il SSN degli operatori delle professioni sanitarie soggiace a un regime differente rispetto a quello dei medici e dei dirigenti sanitari, e ad esso non si applica, né si è mai applicata, la disciplina relativa all’ALPI (come affermato nella sentenza n. 54 del 2015). Si tratta, all’evidenza, di discipline non comparabili in quanto relative a situazioni non omogenee”.


Sì all’Alpi contro le liste d’attesa

Per la Consulta è invece possibile l’acquisto di prestazioni libero professionali da parte dell’Asl per abbattere le attese, malgrado il no del governo. Da una parte, su questo punto contestato dall’Avvocatura, è appena intervenuto il decreto liste d’attesa in termini affermativi. Dall’altra, la stessa Regione Liguria trova nella legge 502/92 articolo 15-quinquies la possibilità che prestazioni rese dai medici in libera professione siano acquistate anziché dai cittadini, dalla regione stessa (e dai fondi sanitari integrativi). Difesa accettata: questa parte della legge è stata salvata dalla Consulta.



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