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La riforma dei medici di famiglia: dipendenti nelle Case di Comunità, ma l'ipotesi cambiamento divide i professionisti

Immagine del redattore: AISIAISI

La riforma dei medici di famiglia, che potrebbe presto vedere la luce, continua a suscitare divisioni.

Il Governo e le Regioni, insieme al ministro della Salute Orazio Schillaci, puntano a una rivoluzione per i medici e i loro ambulatori: i nuovi medici di famiglia saranno assunti come dipendenti (oggi sono liberi professionisti in convenzione con il Servizio sanitario) e lavoreranno principalmente nelle nuove Case di Comunità che stanno aprendo in tutta Italia, con i fondi del PNRR che stanzia 2 miliardi per queste nuove strutture.


Ma quale sarà il destino degli altri? La riforma, ancora in bozza, deve sciogliere questo nodo, ma il principio è già deciso: chi già lavora potrà scegliere se restare in convenzione (senza passare come dipendente), mantenendo così l'autonomia del proprio ambulatorio, ma con l’obbligo di fornire un determinato numero di ore all'ASL, per lavorare anche nelle Case di Comunità. Il tetto orario settimanale cambierà in base al numero di assistiti a carico di ciascun studio. Ma quali sono i pro e i contro di questa proposta?


Le critiche dei medici: trasformarsi in impiegati e la perdita del rapporto di fiduciaA spiegare gli effetti negativi della riforma sono stati soprattutto i medici stessi. Il presidente dell'Ordine, Filippo Anelli, boccia l'idea di trasformare il medico di base in un impiegato: “Come Fnomceo - chiarisce - tuteliamo il rapporto di fiducia che esiste tra medico e paziente. Vari studi evidenziano come questo rapporto diretto e continuativo migliori la salute e gli indici di sopravvivenza. Per questo, riteniamo che l'attuale modello della convenzione con il SSN sia utile al Paese e al cittadino”.


Con il passaggio alla dipendenza, avverte, “i medici non potrebbero più garantire quel rapporto fiduciario e personale, poiché lavorerebbero a turnazione nelle Case di Comunità, riducendo la possibilità di offrire assistenza personalizzata”. Critico anche il presidente della Federazione dei medici di Medicina Generale (Fimmg), Silvestro Scotti, che avverte: “Questa trasformazione maschera una privatizzazione della Medicina generale. I giovani medici potrebbero rifiutare questa proposta a causa della scarsa attrattiva del sistema pubblico, favorendo invece la diffusione di strutture private e cooperative a gettone”.


Pro della riforma: maggiore disponibilità oraria e accesso diretto agli esamiMa quali vantaggi porterebbe la dipendenza e una maggiore presenza dei medici di famiglia nelle nuove Case di Comunità?


La riforma della Sanità territoriale, prevista dal DM 77/2022, prevede l'apertura di oltre 1350 Case di Comunità sul territorio entro la metà del 2026, alcune aperte 7 giorni su 7 H24 (per quelle più grandi dette “hub”) e almeno 12 ore al giorno per le altre. In queste strutture dovrà esserci una presenza medica fissa, oltre a quella degli infermieri, e i medici di famiglia, aprendo ambulatori all'interno, dovrebbero garantire disponibilità continua attraverso una turnazione. Se il paziente non trova il proprio medico di base nella Casa di Comunità, potrà essere assistito da un collega presente.


Inoltre, in queste strutture saranno disponibili attrezzature diagnostiche di base come ecografie, elettrocardiogrammi o spirometrie: ciò consentirà ai pazienti di fare esami immediati senza necessità di chiamare il Cup o subire lunghe attese. A favore di questo passaggio si sono espressi diversi Governatori delle Regioni, che lamentano le difficoltà legate alla convenzione, che li costringe a trattare con i medici di famiglia per ogni servizio aggiuntivo (anche retribuito), e le difficoltà nell’assegnare i dottori nelle zone scoperte. “Non è una battaglia contro qualcuno. Rispettiamo le posizioni dei medici, ma è anche legittimo immaginare che una parte dei medici di base possa far parte di una squadra,” ha spiegato, tra gli altri, il presidente del Veneto Luca Zaia.


Lo scontro sulla dipendenza e il possibile compromesso della riformaIl nodo principale della riforma, che raccoglie le critiche dei camici bianchi, è il possibile addio alla convenzione, che farebbe perdere ai medici il loro status attuale di liberi professionisti. Oggi, in convenzione con il SSN, assistono un certo numero di pazienti nei loro ambulatori, per una media di oltre 100mila euro l’anno, dal quale però devono detrarre i costi di gestione dello studio (utenze, segreteria, etc.) e le tasse. Non è detto che ci sarà una marcia indietro del Ministero della Salute sulla riforma, che sarà presentata a breve.


Tuttavia, su un punto si dovrebbe andare avanti: l'obbligo per i medici di famiglia di dedicare alcune ore a settimana alle Case di Comunità, dopo la loro attività ambulatoriale. Ad esempio, chi ha il massimo di 1500 pazienti dovrà dedicare almeno 14 ore. La convenzione 2019-2021 già prevedeva questa disposizione, ma una norma di legge potrebbe renderla più vincolante. Al momento, infatti, l'attività delle Case di Comunità è limitata a causa della mancanza di medici, e in un quarto delle strutture già aperte non è presente alcun camice bianco.


REDAZIONE AISI

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