Dai pugni e calci, si passa alle vere e proprie aggressioni sessuali. Negli ultimi tre anni in Italia c’è stato un aumento del 40% degli episodi di violenze fisiche e psicologiche contro le donne che lavorano nella sanità.
Nell’80% dei casi la vittima è stata una donna. Si tratta di aggressioni, fisiche e psicologiche, ma anche di discriminazioni contro le professioniste di origine straniera, che negli ultimi mesi in Italia hanno visto un’impennata del 35%. Nella maggior parte dei casi gli autori sono pazienti o loro parenti.
E quella in corso è «un’estate da incubo, con una media mai così alta di aggressioni, arrivate a numeri mai registrati negli ultimi 10 anni». È quanto emerge da un’analisi dell’Associazione medici di origine straniera in Italia (Amsi), che sottolinea come dal primo al 20 agosto non ci sia stato un solo giorno in cui un medico o un infermiere non abbia subito una violenza.
In otto casi su dieci la vittima è una donna
E nell’80% dei casi la vittima è stata una donna. Si tratta di aggressioni, fisiche e psicologiche, ma anche di discriminazioni contro le professioniste di origine straniera, che negli ultimi mesi in Italia hanno visto un’impennata del 35%. Nella maggior parte dei casi gli autori sono pazienti o loro parenti.
La maggior parte delle aggressioni ai pronto soccorso
Quanto ai contesti in cui gli episodi si verificano, al primo posto ci sono i pronto soccorso, al secondo gli interventi del 118, al terzo i reparti di psichiatria. «Complici i disservizi e le lacune degli ospedali - spiega Foad Aodi, presidente di Amsi - medici e infermieri pagano l’insoddisfazione dei cittadini, arrivati all’esasperazione. La politica deve fare la sua parte con leggi mirate. Ma va anche cambiata la mentalità dei cittadini».
Gli episodi più recenti
Scene da Far West si erano viste la scorsa settimana a Crotone, dove una donna ha tirato calci e pugni a due infermiere e due dottoresse del pronto soccorso. Mentre le due dottoresse impegnate in servizi di guardia medica aggredite in Puglia nel giro di pochi giorni, a Minervino di Lecce, nel Salento, e a Maruggio, nel Tarantino, sono solo le ultime di una lunga serie.
La situazione, denunciata da anni sia dai sindacati che dagli ordini, aveva avuto una paradossale escalation proprio durante la pandemia di Covid-19 e l’estate scorsa aveva portato i ministri della Salute e dell’Interno, Orazio Schillaci e Matteo Piantedosi, a impegnarsi ad aumentare i presidi di polizia negli ospedali e al Pronto soccorso. Ma di fatto «nonostante l’inasprimento delle pene, la qualifica di Pubblico ufficiale per i sanitari, controlli, posti di polizia, niente arresta il vortice.
L’opinione pubblica continua a vedere gli operatori sanitari come responsabili della difficoltà di accesso alle cure», spiega Pierino Di Silverio, segretario dell’Anaao, il sindacato dei medici ospedalieri. Una situazione esasperata che ha portato alla provocazione lanciata da Ludovico Abbaticchio, presidente del Sindacato medici italiani (Smi) di “armare” chi lavora in corsia per contrastare l’escalation.
Il problema non riguarda solo l’Italia
L’allarme non riguarda solo l’Italia, ma tutta l’Europa e aumenta in modo esponenziale nei Paesi in via di sviluppo. Nel mondo, secondo l’indagine Amsi condotta insieme a Unione Medica Euromediterranea e a Uniti per Unire, si registra un aumento del 42% delle aggressioni contro i professionisti della sanità.
In Europa il 40% di loro ha subito almeno una violenza e nei Paesi in via di sviluppo la percentuale tra le donne tocca il 95%. Un caso eclatante ha riguardato l’India dove l’intero sistema sanitario è stato paralizzato per giorni a causa di un imponente sciopero di medici scattato dopo il ritrovamento, il 9 agosto, in un corridoio di un ospedale pubblico di Calcutta, del corpo senza vita di una specializzanda, seviziata e uccisa brutalmente dopo uno stupro.
REDAZIONE AISI
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