Secondo uno studio tedesco sui disturbi dell'identità di genere, su 10 minori che hanno avviato il cambio di genere, 7 ci ripensano.
Una affermazione, apparentemente provocatoria, campeggia oggi (ieri, ndr) sulla prima pagina del quotidiano La Verità: “Sul cambio di sesso basta aspettare: il 70% dei minori ci ripensa”.
E per sottolineare la verità di quest’affermazione, l’articolo insiste riportando uno studio tedesco secondo il quale 7 minori su 10 ci ripensano. Evidentemente entro cinque anni il tasso di desistenza è davvero altissimo.
Ed è questo il punto su cui occorre riflettere e far riflettere: sia i minori e i loro genitori da un lato, che i professionisti e i politici dall’altro. Si tratta di accogliere un approccio caratteristico della medicina moderna, ispirato al principio Evidence based, ossia centrato su prove di effettiva evidenza, assunti come criteri guida per prendere decisioni che abbiano come prima e principale ricaduta la salute delle persone.
Lo studio tedesco di riferimento in questo caso copre un arco di tempo di 10 anni, va dal 2013 al 2022 e si intitola: Disturbi dell’identità di genere tra i giovani in Germania; i quattro autori della ricerca sono: Christian J. Bachmann, Yulia Golub, Jakob Holstiege e Falk Hoffmann.
Come al solito è la metodologia della ricerca quella che garantisce il rigore dei dati. In questo caso gli studiosi si sono soffermati su quattro parametri: i dati forniti dall’assicurazione sanitaria pubblica anche a livello economico, la prevalenza della diagnosi secondo l’ICD-10; la stratificazione per età e sesso; i disturbi mentali legati allo sviluppo e all’orientamento sessuale. Il che, sinteticamente, significa: quante persone si sono rivolte al SSN tedesco, che diagnosi è stata posta sulla base di criteri universalmente condivisi, quante di queste persone presentavano contestualmente un disagio di tipo psicologico, correlato al loro orientamento sessuale.
I dati sono realmente allarmanti, soprattutto per quanto riguarda gli adolescenti, se si tiene conto della crescita esponenziale della richiesta iniziale, con un passaggio da 47 richieste su 100mila a 479 su 100mila. Nel 70% di questi casi è stata individuata una qualche forma di comorbilità psichiatrica. Il picco maggiore si ha tra i giovani di 16 anni.
Per chiunque abbia esperienza di adolescenti è abbastanza evidente come ci sia una sorta di fisiologico disorientamento psico-fisico, che riguarda i rapporti di ogni giovane adolescente con il proprio corpo, con la sua immagine e con la costante difficoltà a controllare le proprie pulsioni ormonali.
Lo studio in altri termini conferma un dato consolidato nell’esperienza socio-psicologica degli adolescenti che stentano a trovare il punto di equilibrio nel rapporto con le trasformazioni che attraversano il loro corpo, il loro stile relazionale e soprattutto la propria autostima.
Lo studio rende evidente, con una produzione rigorosa di dati, ciò che di fatto è noto da sempre: gli adolescenti faticano ad accettare la propria immagine in una fase di cambiamento continuo.
Faticano a rompere il guscio protettivo della propria infanzia per vivere l’avventura della propria maturità. E la disforia di genere non è che uno dei sintomi di questa fase delicatissima che debbono attraversare prima di diventare “grandi” ed essere effettivamente accettati nella società come giovani adulti.
La ricerca degli scienziati tedeschi conferma che, passata la fase di transizione, la stessa percezione della disforia di genere rientra quasi naturalmente, riassorbita da un’evoluzione psicofisica che si attesta su di una maggiore autostima, una migliore capacità di governare i propri impulsi ormonali e una indubbia maturità sociale nel trovare una propria collocazione, anche attraverso un legittimo riconoscimento delle proprie abilità e competenze.
Non c’è quindi alcun bisogno di bloccare la pubertà di questi ragazzi prolungando la fase del disorientamento psicologico prima ancora che sessuale; c’è invece bisogno di un supporto psicologico che si può articolare in modi diversi, dal counseling al coaching, dalla psicoterapia breve centrata sul tema in oggetto, ad una psicoterapia di più ampio respiro e di maggiore profondità. I ragazzi hanno bisogno di non sentirsi soli, ma non hanno bisogno di forzature e di nuovi condizionamenti che inducano una vera e propria cristallizzazione dei normali problemi dell’adolescenza.
I bloccanti della pubertà non “curano” l’incongruenza di genere, ma si limitano a congelare la crescita dei caratteri sessuali secondari del ragazzo o della ragazza in attesa di capire se e come intervenire con la transizione di genere facilitando un cambio di sesso, mentre una sana psicoterapia può facilitare una maggiore e migliore accettazione di sé.
Un’ultima osservazione riguarda proprio il consenso informato degli adolescenti ad un trattamento che li riguarda così da vicino, così intimamente e così profondamente. È proprio quello il fulcro della fragilità: quel volere senza sapere fino in fondo cosa si vuole; quel disorientamento senza sapere esattamente che direzione si vuole prendere.
Se la loro informazione è incompleta e spesso costruita su manipolazioni ideologiche non irrilevanti, la loro volontà, come accade in tutti gli adolescenti, è proprio la cerniera che separa il mondo rassicurante dell’infanzia, con la sua ambivalenza, per cui si vuole uscirne senza averne pienamente il coraggio, e il mondo degli adulti, in cui si vuole entrare, ma anche in questo caso senza sentirsi all’altezza delle aspettative familiari, scolastiche e sociali. Si vive un po’ tra due mondi, tra illusioni e desideri, tra paure e incertezze. E allora non resta che aspettare e piano piano il disorientamento si risolve in chiarezza e determinazione.
コメント