Richiamo della Corte dei Conti sulla sanità, afflitta da liste d’attesa infinite, dalla fuga dei professionisti sanitari e da prestazioni non uguali per tutti.
Dopo lo sforzo corale durante il Covid, il sistema sanitario “soffre di una crisi sistemica cui si deve rispondere con decisioni ed investimenti non più rinviabili, nei campi dell’organizzazione, delle strutture, della formazione e delle retribuzioni”. In ballo c’è il diritto stesso alla salute dei cittadini.
La sanità è certamente una voce di spesa ma non può che essere tra le prescelte pur in quadro di finanza pubblica impegnativo.
La Corte, per bocca del suo presidente, Guido Carlino, ha ribadito la necessità di misure “selettive” in vista della prossima legge di bilancio. Nella forma attuale, il decreto liste d’attesa presentato dal ministro della Salute Orazio Schillaci rischia di non sortire gli effetti sperati.
È il timore che traspare dalle audizioni delle parti sociali in commissione Affari sociali, sanità, lavoro del Senato, dove è in corso l’iter di conversione in legge del provvedimento. Numerosi i nodi emersi dal dibattito.infine sui balneari. Anche in questo caso i magistrati sono chiari, chiedendo "il rispetto delle prescrizioni eurounionali e delle decisioni degli organi giudiziari nazionali".
Allarme risorse Ssn
L’assenza di risorse aggiuntive, innanzitutto. “Il decreto legge è frutto di un prolungato braccio di ferro tra ministero della Salute e ministero dell’Economia e delle Finanze e tutte le misure previste sono senza maggiori oneri per la finanza pubblica”, sottolinea la Fondazione Gimbe, il cui presidente, Nino Cartabellotta, è stato audito in commissione. Per esempio, gli 80 milioni per finanziare l’aliquota unica al 15% sulle prestazioni aggiuntive del personale sanitario “saranno recuperati dal fondo per i danneggiati da trasfusioni e vaccinazioni e da altri obiettivi nazionali”, ha precisato Cartabellotta. Secondo cui, senza risorse il provvedimento rischia di non “risolvere i problemi strutturali del servizio sanitario che generano le liste di attesa”. Non è questo, però, l’unico problema per Gimbe. Critici sono anche i tempi di attuazione. Il decreto “potrà essere pienamente operativo solo previa approvazione di almeno sette decreti attuativi con tempi di attuazione che rischiano di diventare biblici”, ha aggiunto Cartabellotta. Rischia inoltre di produrre un “ulteriore sovraccarico dei professionisti sanitari che hanno carichi di lavoro già inaccettabili”.
Focus Ssn
Su questo aspetto è dello stesso avviso il sindacato dei medici dirigenti Anaao Assomed. “Crediamo che allargare l’apertura degli ambulatori al week end senza avere del personale in grado di effettuare queste prestazioni non sia una norma che possa aiutare nel superamento delle liste d’attesa, ricordando che già oggi i dirigenti medici e sanitari lavorano in media più di 60 ore a settimana”, avverte il segretario nazionale, Pierino di Silverio. Perplessità anche da parte degli ospedali. Sia la Federazione italiana aziende sanitarie e ospedaliere (Fiaso) sia Federsanità notano l’assenza nel provvedimento di misure che agiscano sull’appropriatezza delle visite ed esami prescritti. Il procuratore generale della Corte dei conti Pio Silvestri si è occupato di liste d’attesa nella requisitoria durante il Giudizio di parificazione del Rendiconto generale dello Stato per l’esercizio finanziario 2023. Il sistema sanitario è “afflitto da numerosi problemi, tra cui quello delle lunghe liste di attesa per le prestazioni rese in ambito pubblico, su cui è intervenuto di recente il governo con il decreto-legge numero 73 del 7 giugno scorso e con un disegno di legge pure finalizzato a garantire il diritto alle prestazioni sanitarie. Ritengo che siano necessari ulteriori interventi. Il sistema sanitario, infatti, dopo aver sostenuto uno sforzo corale per limitare gli effetti della pandemia, soffre di una crisi sistemica – accentuata dalla ‘fuga’ del personale sanitario, non adeguatamente remunerato”. Cui “si deve rispondere con decisioni ed investimenti non più rinviabili, nei campi dell’organizzazione, delle strutture, della formazione e delle retribuzioni, al fine di garantire effettività al diritto alla salute”.
Inappropriatezza prescrittiva
“Lavorare esclusivamente sul potenziamento dell’offerta, senza parallelamente avviare iniziative finalizzate al perseguimento dell’appropriatezza prescrittiva, espone al rischio di una crescita della domanda non collegata ai reali bisogni sanitari a fronte di nessun miglioramento dello stato di salute dei cittadini“, evidenzia Fabrizio d’Alba, presidente nazionale di Federsanità e direttore generale dell’Aou Policlinico Umberto I di Roma. Per intervenire su questo fronte, il presidente della Fiaso, Giovanni Migliore, ha proposto di rendere “obbligatorio nelle prescrizioni l’inserimento del codice di codifica del quesito diagnostico e, almeno per le prestazioni più critiche come radiografie, Tac e risonanze magnetiche, anche l’indicazione del livello di priorità”. Questo intervento, “permetterebbe di verificare con facilità l’appropriatezza”, ha affermato. In realtà, proprio ieri, il ministro della Salute Orazio Schillaci, intervenendo all’evento Direzione Nord, aveva chiarito di essere ben consapevole della questione. “Il decreto non affronta quello che rimane uno dei principali problemi: cioè l’inappropriatezza prescrittiva”, ha detto Schillaci. “Abbiamo stima che una percentuale del 20-30% di prestazioni sia inappropriata”. L’argomento “non è stato ancora toccato, ma ci stiamo lavorando con le società scientifiche e con l’Istituto Superiore di Sanità e a breve daremo risposte”, ha precisato il ministro.
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