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Comparto sanità: la soluzione è accorpare il triennio 2025-2027 al contratto arenato e già scaduto

Immagine del redattore: AISIAISI

Tutto da rifare, dunque. Si, ma in che termini e con quali prospettive ? La mancata chiusura del CCNL del comparto Sanità, con lo show down del pomeriggio del 14 gennaio, ha sconcertato molti ma in qualche modo poteva ritenersi preannunciata.

Tra l’altro, il presunto colpo di scena potrebbe trovare plausibili spiegazioni, se non ci si limita ad osservare le tematiche strettamente contrattuali ma si allarga lo sguardo a strategie trasversali all’interno della crisi della Sanità pubblica. E, per arrivarci, non c’era bisogno dell’intervista al ministro Zangrillo.


Le polemiche che si sono generate sono piuttosto virulente: si parla di voltafaccia, di manie di protagonismo, di gravi danni ai lavoratori, dell’effetto-spaghetti, della non conoscenza del testo perché la domenica il sindacato era chiuso, di blitz dell’ultimo minuto; e, ovviamente, il bersaglio scontato delle critiche è Nursing Up che con il suo 6,43% costituiva l’ago della bilancia per raggiungere le condizioni prescritte per la stipula.


Lungi da me entrare nel merito delle posizioni assunte dai sei sindacati rappresentativi, che sono tutte legittime, almeno fino a quando esisteranno regole democratiche. Cosa succederà ora ?


Credo innanzitutto che fino alla fine di aprile non succeda assolutamente nulla, a conferma che le vicende contrattuali sono state pesantemente condizionate da valutazioni tattiche connesse alle elezioni delle RSU.


Dopo, a risultati proclamati, non è che cambi qualcosa sulle risorse o sui contenuti del testo contrattuale proposto dall’ARAN, ma potrebbero essere diversi i rapporti di forza tra i soggetti sindacali. Ho usato il condizionale perché non è affatto scontato che possano avvenire grandi spostamenti di voti.


Anzi, se si segue una tendenza generale e irreversibile alla disaffezione alle consultazione elettorali di qualsiasi genere, una prima previsione potrebbe essere quella di un forte aumento dell’astensionismo.


Va comunque ricordato che, per la rilevazione della maggiore rappresentatività, i risultati elettorali costituiscono uno degli elementi che va sommato a quello delle adesioni e i due items hanno caratteristiche piuttosto diverse, perché quello del conteggio delle tessere al 31 dicembre presuppone una maggiore e duratura fidelizzazione con la sigla, mentre il voto si esaurisce in un gesto e, soprattutto, vi partecipano anche i lavoratori non sindacalizzati, compresi quelli a tempo determinato e i comandati.


A tale proposito, può essere interessante vedere il delta che esiste per i sei sindacati tra dato elettorale e dato associativo: CISL + 2,21, CGIL + 2,27, UIL + 1,24, FIALS – 0,33, NURSIND – 3,17, NURSING UP – 1,92.Detto questo, proviamo ad immaginare il prosieguo delle trattative.


Quando il Presidente dell’ARAN riconvocherà il tavolo negoziale non sarà probabilmente cambiato nulla nel testo e, pertanto, la sola variante potrebbe essere costituita da un ripensamento delle tre sigle dissenzienti, magari condizionato dal risultato elettorale o da pressioni della base.


Una cosa è certa, cioè che, allo stato, sia inimmaginabile il reperimento di ulteriori risorse finanziarie rispetto al 5,78% dell’Atto di indirizzo del 7.3.2023 e alle poche risorse extracontrattuali già previste ds varie leggi.


La legge di bilancio per il 2025 è chiusa e le Regioni sono in gravi difficoltà, per cui lo scenario resta quello dei sette mesi di trattative.


Si è detto che sarà impossibile trovare anche un euro in più ma, a ben vedere, questo vale per il triennio in discussione che - lo ripeto fino alla noia è il 2022/2024, ormai già scaduto - mentre tutte le criticità e il rigetto stesso del contratto stanno nel fatto che si offre meno del 6% quando l’inflazione è molto maggiore. Ma quella percentuale di aumenti retributivi si riferisce ad un triennio ormai lontano nel tempo ed è la conferma che la vera, grande patologia della contrattazione collettiva non è sul “quanto” bensì sul “quando”.


L’offerta della parte pubblica non è nemmeno coerente con le regole vigenti sull’IPCA – che era nel 2022 dell’8,1%, nel 2023 del 5,9% e nel 2024 dell’1,1% - mentre quello che è completamente disallineato è il tempo della trattativa, non la sua chiusura ma, ovviamente, il suo inizio.


Se il contratto 2022/2024 si fosse chiuso a febbraio 2022 invece di essere ancora nel caos a gennaio 2025, l’incremento del 5,78% - più o meno coerente con l’IPCA riferito al triennio - avrebbe avuto un impatto completamente diverso. Allora, per uscire dallo stallo perché non pensare ad una soluzione tanto banale quanto rivoluzionaria.


Si tratta di accorpare il triennio 2025/2027 a quello su cui si sono arenate le trattative, arrivando alla stipula di un unico contratto. Il calcolo dell’IPCA già c’è – lo stesso Ministro Zangrillo ha parlato di un 14% complessivo, anche se la Relazione illustrativa della legge di bilancio indica un 5,4% a regime nel 2027 - con un rapido Atto di indirizzo del Comitato di settore (in ogni caso indispensabile per mettere a terra il comma 121 della legge di bilancio) e, soprattutto, la imprescindibile e comune volontà di chiudere la questione, potrebbero risolvere le criticità attuali.


Non sussiste alcun impedimento giuridico, anzi si ripristinerebbero le regole da troppo tempo eluse. Le compatibilità con i tempi degli altri comparti sono un problema politico ma, se è vero che la Sanità pubblica sta a cuore a tutti, è agevolmente superabile. Credo, infatti, che sia francamente scorretto e fuorviante paragonare la situazione della Sanità con quelle delle Funzioni centrali e delle Funzioni locali, per mille evidenti motivi fra i quali il più drammatico e la continua fuga di medici e infermieri ma anche la ineludibile constatazione che Ministeri, enti previdenziali, autonomie locali non hanno competitors nell’erogazione delle loro funzioni mentre, come è noto a tutti, la Sanità pubblica combatte una quotidiana lotta per sopravvivere in un mercato molto diverso rispetto a soli dieci anni fa.


Mentre si trattava sulla possibile chiusura del contratto, un paio di recentissime notizie di stampa confermano il punto di non ritorno cui si sta avvicinando il S.s.n.. La prima riguarda una ASST lombarda dove l’ultimo concorso per l’assunzione di infermieri si è svolto lo scorso mese di novembre con la previsione, tra l’altro, di poter utilizzare il convitto realizzato all’interno dell’ospedale. Il bando prevedeva l’assunzione a tempo indeterminato di 24 infermieri; a fronte di 40 iscritti, si sono presentati alle prove in 6 ed è stata predisposta una graduatoria finale con 6 infermieri; contattati, solo 1 dei 6 ha confermato la volontà di prendere servizio ed ha iniziato a lavorare il 16 gennaio.


Il caso non è affatto isolato e in quasi tutto il nord i concorsi vanno praticamente deserti. La seconda concerne la iniziale tendenza a reclutare “gettonisti” anche tra gli OSS. Cosa altro aggiungere ?


Ovviamente, tutte le considerazioni fatte - con la scontata esclusione di quella sulle imminenti elezioni - valgono anche per la dirigenza sanitaria e per quella professionale, tecnica e amministrativa, per le quali la firma del contratto non è saltata semplicemente perché le trattative non sono nemmeno iniziate a più di tre anni dalla scadenza del contratto.


E, in questo contesto, mi chiedo se esiste qualcuno tra gli attori istituzionali - Governo, Regioni, ARAN - che possa rispondere a questa semplice domanda: perché ad oggi non sono ancora stati redatti almeno i due Atti di indirizzo?


REDAZIONE AISI



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