Aumento dell’aspettativa media di vita, nascite ai minimi storici: l’Italia è un paese destinato ad invecchiare sempre di più. Al 1° gennaio di quest’anno, la popolazione over 65 ammontava a 14 milioni e 177mila individui, vale a dire il 24,1% della popolazione totale. Le proiezioni future indicano che questa tendenza si rafforzerà ulteriormente: si prevede che, entro il 2050, la percentuale di individui con un’età superiore ai 65 anni raggiungerà il 35,9% della popolazione totale, con un’aspettativa di vita media prevista di 82,5 anni.
L’aumento dell’aspettativa di vita e il crescente divario tra la popolazione in età lavorativa e quella non attiva comporteranno un aumento del carico socioeconomico associato alla cura, all’assistenza e alle spese previdenziali per gli anziani, dando origine a quello che viene definito “longevity shock“, termine che indica la prolungata sopravvivenza delle persone che percepiscono una rendita pensionistica oltre la media di aspettativa di vita inizialmente prevista per loro. In aggiunta, l’aumento dell’età media della popolazione farà innalzare anche il rischio di malattia e di perdita di autosufficienza.
I numeri della non autosufficienza
La non autosufficienza in Italia rappresenta una questione delicata che grava su persone, famiglie, sanità ed economia: attualmente nel nostro Paese vivono circa 3 milioni e 800 mila persone anziane non autosufficienti, che diventeranno 4,4 milioni nel 2030 e 5,4 milioni nel 2050. I costi per l’assistenza – che può essere continuativa (long term care) in strutture pubbliche o private, affidata ad assistenti familiari o completamente a carico delle famiglie – sono elevati e molto spesso insostenibili. Questo alimenta un grave problema di esclusione sociale: si stima infatti che circa 382 mila individui non autosufficienti si trovano in una situazione priva di qualsiasi forma di supporto o aiuto (Fonte: Censis). Inoltre, non bisogna trascurare l’enorme carico psicologico e fisico che chi accudisce una persona non autosufficiente si trova a dover sostenere quotidianamente.
La legge sulla non autosufficienza: urge normativa ad hoc
Per queste ragioni, intervenire sulla non autosufficienza è una necessità improrogabile, un impegno che dev’essere affrontato anche e soprattutto dalla politica. Il 21 marzo 2023 il Parlamento ha approvato una legge delega, inserita precedentemente nel Pnrr dal governo Draghi, che si presenta come la prima riforma organica del settore, con lo scopo di rivedere il welfare italiano per adeguarlo all’aumento del numero di anziani non autosufficienti. La legge (33/2023) avvia politiche in favore di una nuova organizzazione assistenziale, con la costruzione di un «Sistema nazionale per la popolazione anziana non autosufficiente», per unificare la gestione delle politiche di long term care. Introduce, tra le altre cose, l’assegno universale per gli anziani, oltre a prevedere novità per il personale d’assistenza e tutele rinforzate per i caregiver. La prospettiva è quella di un ampliamento dell’offerta assistenziale e del volume dei finanziamenti, che rappresenta senza dubbio un’ottima base di partenza. Per concretizzare la riforma, però, sono necessari tra i 7 e gli 8 miliardi di euro, cifre che questa legge ancora non stanzia. Pertanto, bisogna fare riferimento ai decreti attuativi, attesi per gennaio 2024, e alla prossima legge di bilancio, che deve prevedere il graduale incremento delle risorse dedicate a questo scopo.
Tutelarsi è possibile
Con l’approvazione della Legge indubbiamente è stato fatto un importante passo in avanti, ma il percorso è ancora lungo e pone notevoli sfide a chi dovrà definirne le modalità pratiche di attuazione. Per il momento, per tutelarsi dal rischio di perdita dell’autosufficienza, è possibile pensare di stipulare una polizza assicurativa long-term care che dà diritto al versamento di una rendita periodica per affrontare le spese di cura e assistenza, garantendo supporto e protezione agli assistiti e alle loro famiglie, sicurezza finanziaria e una maggiore tranquillità per il futuro.
I numeri allarmanti di Agenas
Se le persone non autosufficienti sono già 2,9 milioni diventeranno 5 milioni su 20 milioni di over 65 nel 2030. E non bisogna essere illustri epidemiologi per capire che andrà aumentando anche la popolazione che necessita di essere curata e assistita in casa propria. Ma l'Adi, l'assistenza domiciliare integrata, resta un miraggio per i più.
L'ultimo rilevamento di Agenas, di pochi giorni fa, parla infatti di 529mila anziani in più che hanno beneficiato dell'Adi nel corso del 2023, che sommati ai 459mila in carico l'anno precedente fanno quasi un milione, 988mila per l'esattezza, pari al 6,9% degli over 65. Bene si dirà. «Nemmeno per sogno», replica secco Alessandro Chiarini, presidente Confad, il Coordinamento nazionale delle famiglie con disabilità.
Assistenza domiciliare in affanno soprattutto al Sud: mancano i professionisti
Un rapporto del ministero della Salute che, quantificando in circa due milioni la quota di popolazione assistita in un anno a domicilio, svela poi l'arcano, indicando in sole 18 ore l'anno quelle di assistenza offerte contro le 20 minime, ma mensili, ritenute a livello internazionale necessarie per consentire a un non autosufficiente di restare a casa senza peggiorare. E le cose vanno ancora peggio dopo la pandemia.
REDAZIONE AISI
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